Tanti dubbi

Roberto Beccantini5 ottobre 2012

Gira e rigira, siamo tornati alla richiesta iniziale di patteggiamento, quando però le omesse denunce erano due (Novara-Siena e Albinoleffe-Siena) e non una (Albinoleffe-Siena). Allora, tre mesi più duecentomila euro di multa, concordati con il procuratore Stefano Palazzi e bocciati dalla Disciplinare; oggi, quattro mesi. Dai quindici richiesti e rispetto ai dieci inflitti. Antonio Conte potrà tornare in panchina il 9 dicembre, a Palermo.

Cosa posso aggiungere di nuovo, di inedito? Sapete come la penso: per me, o era illecito o niente. L’iter giudiziario ha imboccato altre strade. Il pentito Filippo Carobbio è stato considerato credibile a metà. Conte «non poteva non sapere»: è vero che ogni caso fa storia a sé, ma il Grosseto, spedito in Lega Pro dal verdetto di secondo grado, ha recuperato la serie B proprio perché il suo presidente, Piero Camilli, «poteva non sapere» che dentro la società, non lontano dal suo istinto accentratore, i suoi Cristian Stellini ne avevano combinate più di Carlo in Francia. Dov’è l’errore?

Naturalmente, i pro e gli anti si scateneranno e si scanneranno. La giustizia sportiva si presta a questo tipo di «pugilato». In pratica, quattro mesi di cui due già scontati sono un buffetto. Nella sostanza, per coloro che allo sport – e al calcio, in particolare – abbinano ancora un briciolo di etica, sono tanti.

Ricapitolando: Leonardo Bonucci e Simone Pepe prosciolti, quattro mesi a Conte. Sono misure che scacciano l’idea del complotto, cara a ogni tifoso quando viene tirata in ballo la squadra del cuore. Da un lato, la caduta del fortino Mastronunzio, dall’altra il patteggiamento di Stellini, che Conte trovò a Bari e si portò a Siena e a Torino (ma a Bergamo, con Cristiano Doni, litigò): sono queste le corde del ring dentro il quale si è boxato senza esclusione di cavilli. Non ho certezze, se non una: Antonio, occhio ai collaboratori.

Grasso che cola

Roberto Beccantini2 ottobre 2012

In Europa – e in Champions, soprattutto – si mastica un altro calcio: più tecnico, più globale, non solo fisico. A parità di rimonta, mi era piaciuta più la Juventus di Londra che non questa, controllata o dominata per lunghi tratti dallo Shakhtar di Lucescu. L’enfasi dell’attesa non rispecchiava i problemi che gli esperti avevano segnalato. Il pareggio è grasso che cola: ci sono state occasioni da una parte e dall’altra, vero, ma agli ucraini (si fa per dire) manca un rigore – Lichtsteiner su Willian, in avvio – e Willian, 24 anni, migliore in campo per distacco, ha scheggiato il palo e, proprio al 93’, la traversa.

Giù il cappello. I piedi brasiliani di Willian, Alex Teixeira, Fernandinho, Luiz Adriano hanno disorientato e impaurito gli avversari, troppo schiacciati al limite dell’area. Come era nei voti, col cavolo che Lucescu ha lasciato a Pirlo le praterie che gli aveva garantito la Roma di Zeman. Il doppio binario campionato-Champions incide, penso a Vidal, Marchisio poco lucido sotto porta, a Lichtsteiner, Asamoah. Gli ingressi di Giovinco e Quagliarella non hanno forzato il destino. Hanno corso, i bianconeri, ma lo Shakhtar li ha fatti correre male. Siamo alle solite: per capire come ha giocato la Juventus, basta capire come ha giocato Pirlo. Male. E subito dopo, Vucinic. Peggio.

Ogni palla persa era una coltellata. Lucescu non lo scopro adesso. Ha sempre soffiato un’anima e un gioco alle sue squadre. Nel caso specifico: pessesso palla, pressing alto, spinta sulle fasce (Srna, per esempio), chili di tecnica. Così così, viceversa, la fase difensiva. La Juventus d’Europa è diversa anche perché diversi sono gli avversari. Questa volta sì, i bianconeri si sono aggrappati al carattere. Gli ucraini (e dai) non perdono da 26 partite: ci sarà un motivo. Non credo che Conte e Carrera abbiano sbagliato tattica. E’ stato più bravo lo Shakhtar. Punto.

Più Inter che Milan

Roberto Beccantini1 ottobre 2012

In vista del derby, più Inter che Milan. Dodici punti a sette, tanto per cominciare. A Parma, sabato, Allegri ha sterzato verso il 4-2-3-1 ricavandone confusi progressi. Aspettando il miglior Montolivo, il gioco nasce a gocce e, se si esclude El Shaarawy, già quattro gol come Cassano, tutti pedalano in gruppo. Anche Boateng, che a forza di visitare ruoli si è ficcato nel labirinto.

Dopo il k.o. di Udine, il Milan ha regolato il Cagliari e pareggiato al Tardini. Dopo gli schiaffoni del Siena, l’Inter ha battuto il Chievo a Verona ed espugnato San Siro. Stramaccioni, lui, si è dato al 3-5-2, modulo di gran moda. Il supporto dei tre centrali è anche psicologico, non solo tattico. La squadra ha recuperato gamba e fiducia. L’ho seguita contro la Fiorentina, e per un’ora non mi sono annoiato. Se Montella aveva soffocato Pirlo, Stramaccioni ha detto a Coutinho di disturbare Pizarro.

Cassano è Cassano, nel bene e nel male: oggi, nel bene. E Milito è Milito: ti strappa dalla sedia, e poi ti strappa la sedia dalle mani. A Montella manca il Luca Toni di Prandelli. Jovetic non si discute, Ljajic sì: anche se, insieme, erano pesi piuma contro pesi massimi (Samuel, figuriamoci).

El Shaarawy aveva segnato in contropiede. L’Inter vi ha fatto ricorso, a folate, non appena sbloccato il risultato. Il contropiede, termine che preferisco a «ripartenza», non ha età. Vengo dal basket, lo adoro. L’importante è non diventarne succubi. O spacciarlo per qualcos’altro. La Fiorentina era reduce dall’eroico pareggio con la Juventus. Non ne ha pagato il fio, è stata in partita a lungo, e spesso l’ha fatta, fino all’espulsione di Gonzalo Rodriguez. Più occasioni, l’Inter; più bollicine, la Fiorentina: vedi alla voce centravanti. Coutinho, Cassano e Milito costano in «lunghezza». Inter e Milan sono squadre-laboratorio. Ma tra i recuperandi Palacio e Robinho, prendo Palacio.